NOI AL CAMPO
Ennesima partenza, non le conto più da tempo. Ma non confondo nessuna missione e non dimentico nessuna emozione. Siamo partiti a notte fonda, già stanchi e sempre preoccupati. Per avere una mezza giornata in più nei campi. Ti porti un peso quando parti, il peso di chi lasci ed il peso di quello che sai che vedrai. E anche il peso che in pochi giorni tutto deve essere fatto, tutto sarà frenetico e massacrante. L’imprevisto sempre dietro l’angolo. Siamo in tre, pochi… siamo senza medico e senza fotografo. Ma va bene.

Come sempre abbiamo chiesto dall’Italia di prepararci i pacchi, sono 400 le famiglie e 40 gli orfani. Abbiamo lanciato una raccolta fondi che non ha coperto il costo della distribuzione e mi sento in ansia, sfiduciata. Non mi basta quasi pensare che rivedremo quei bambini e quelle persone che ci aspettano da anni.
Quando arriviamo al campo, dopo mille incombenze e preparazioni e intoppi, l’atmosfera è surreale. Stavolta sembra vuoto, non ci corrono incontro i bambini come fanno di solito. Non arrivano madri e donne stanche, non giungono uomini a salutare. E’ la prima volta che non respiro a pieni polmoni. Sono stanchi, esausti, sono sempre più senza speranza e si stanno abituando all’idea che rimarranno senza patria e senza diritti in quei campi per molti anni. Poi arrivano, piano piano… e diventano molti, moltissimi.

I bambini cercano attenzione, ti prendono la mano e cercano di comunicare con gli abbracci e i gesti. Come sempre. Distribuiamo i pacchi, i campi sono tre e ci vogliono ore. Siamo senza medico, ci sono casi che andrebbero curati ma non possiamo fare altro che prendere nota. Sono abituati ad ammassarsi in fila in una tenda e venir visitati e a ricevere medicine. Sono delusi, sono amareggiata. Mi sento in colpa.

I bambini vogliono giocare, non abbiamo tempo questa volta e continuiamo a dire “baed” che vuol dire dopo. Ti prendono per mano e vogliono solo che li guardi, che perdi un po’ del tuo tempo. Le donne stanno in disparte, si avvicinano a me e chiedono come sto, come stanno i miei figli. Gli uomini hanno la stima per il nostro costante operato dipinta sui loro volti stanchi. Distribuiamo cibo, accarezziamo l’idea di distribuire anche gesti e atti di gentilezza che aiutano i cuori.
Sorridiamo con loro, quasi scherziamo. Abbiamo portato del latte e delle caramelle, ma è buio e se le divideranno il giorno dopo. Beviamo del the seduti per terra e la mente cerca di pianificare quello che vorremmo fare nella prossima missione: sostenere una piccola scuola e costruire un campo da calcio.

Eh si, abbiamo portato dei palloni, non molti… ma è stata la gioia pura e pensiamo che anche le anime vadano nutrite oltre al corpo per avere un domani degli adulti migliori.

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