La vita dei bambini

E’ la prima volta che vai, ma sei pronta, prontissima, non puoi non esserlo. Hai guardato ogni foto al ritorno da ogni singola missione compiuta dal gruppo: e sai già tutto, la polvere, i bambini scalzi, la loro sporcizia, le consegne di cibo, la fogna a cielo aperto, il caldo, il freddo, lo sai da più di un anno, da quando hai deciso di far parte di Support Syrian Children e sì hai appena 20 anni, ma occorre conoscere prima con cosa avrai a che fare, e tu lo conosci, ti sei documentata, ti sei preparata bene.

Arrivi lì, e appena scendi dall’auto ti accorgi che non sai un bel niente, che non basterebbero 10 anni di preparazione, perché, alla vista di ciò che fino a quel momento restava confinato in fotografie, il tuo corpo inizia a farti male, il cuore comincia a stringersi in una sofferenza che non avevi mai provato prima.

In un barlume di lucido ragionamento ti chiedi, davanti a quella moltitudine di persone e bambini che sbucano da tutte le parti, come funzioni la vita nel campo, perché in quel campo c’è vita e ce n’è tanta. Per quel poco che hai visto deve avere anch’esso una sua organizzazione, e ti chiedi davanti a tutti quei bambini se per loro sia stato peggio aver subito il cambiamento (l’essere passati dal vivere in una casa in mezzo alle proprie cose), o il non essersi resi conto che la vita è ben altro da quello (cioè avere un letto, andare a scuola, saper leggere e avere un libro, o una bambola o un trenino di legno con cui giocare)…perché i bambini di 3-4 anni che vedi in questo posto saranno scappati dalla Siria in fasce e troppo piccoli per ricordarsi la vita “normale” con mamma e papà, mentre i neonati, invece, sai per certo essere figli del campo profughi e della guerra.

Non esiste la scuola nel campo, e, seppur ci sia qualche anziano di buona volontà disposto a cercare di educare i tanti bambini alla scrittura e alla lettura, ti è stato detto che non si può perché si deve lavorare: lavorano gli uomini, lavorano le donne rimaste vedove, lavorano i piccolini da cui si fanno accompagnare, lavorano gli anziani. Questa terra di nessuno è circondata da immense distese di campi di peperoni e di grano e la manodopera profuga, di fatto, è molto meno costosa.

E così ti accorgi che le manine di quei bambini portano già la ruvidità e la bruttezza della guerra e le loro piccole schiene, anziché portare zaini colorati, assorbono la fatica del lavoro nei campi e il dolore muscolare. Piccole donne e piccoli uomini affaticati, scalzi, che lamentano l’intorpidimento del corpo dopo una giornata nei campi: ecco i bambini del campo profughi.

Bambini che, però, ti raccontano la loro giornata non negandoti mai un sorriso, con metà dei loro denti marci, ma un sorriso, e quando vedi Alì, 6 anni, al tramonto, tornare dal lavoro nei campi stringendo nelle sue piccole braccia una melagrana, fiero e sorridente come per un bambino occidentale il giorno di Natale, come se quello fosse il regalo più bello mai ricevuto, ti verrebbe voglia di portarteli tutti via da lì..così per magia, così come fosse possibile metterli tutti tutti tutti in uno zaino gigante e via con il teletrasporto catapultarli in un’altra parte del mondo ma farli andare via subito da lì.

Chi è dispensato dal lavoro nei campi lo è perché deve restare lì, nella terra di nessuno, a badare ai fratelli più piccoli, a trasportare pesanti taniche di acqua dalla fonte (un fiumiciattolo lì vicino che all’occorrenza è fonte d’acqua, lavatrice, vasca da bagno) alla propria tenda, facendo attenzione a non disperderla per strada. Quell’unica tanica, devi sapere, dovrà bastare per bere e per lavarsi. Dovrà bastare per tutta la famiglia (4,5,6 persone o più).

E quando i bambini non lavorano nei campi, o non badano ai fratelli e non trasportano l’acqua…ci sono i giochi, finalmente: sassi, bastoni, foglie e una carriola che diventa in pochissimi frangenti il parco di divertimento più bello, entusiasmante e esilarante di tutto il medio oriente. Prima un piccolino di 3 anni, e poi ancora due gemellini di 2, e poi la bimba con i capelli rossi e poi un altro e un altro ancora, sopra la ghiaia a tutta velocità su una carriola improvvisata: li senti ridere a squarciagola, li vedi parlare tra loro, li vedi allegri tutti insieme e più ridono e più il tuo cuore si riempie di gioia e più si riempie di gioia per quel poco che vedi e più ti viene da piangere.

I bambini del campo non hanno nulla, patiscono fame e sete, molti fra loro sono malati a volte senza neanche saperlo, eppure sono dispensatori di grande amore: ti sorridono, ti abbracciano, ti stringono le mani e ti ringraziano per i giochi che hai portato dall’Italia per il pacco di lenticchie e per le caramelle ricevute, chiedendoti se possono tenerli, loro, abituati a non ricevere purtroppo mai nulla.

Lidia Boncoraglio, volontaria di Support and sustain Children

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